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Radio Voce della Speranza

Lo Zefiro

Notiziario Interreligioso
Redazione: Marco Lazzeri
Telefono: 335.6415395
Pagina:
10/04/2021: Anno 2021 - Numero 07  File Pdf
Pubblicato il 09/04/2021
La casa.
La casa.
Care amiche e cari amici, alle volte mi capita, non spesso come vorrei, di fare una passeggiata nelle belle zone del Chianti. E’ facile incontrare casolari di campagna in luoghi ameni con ambientazione bucolica di tempi lontani. Data la bellezza dei luoghi queste antiche costruzioni sono state restaurate e rese bellissime da sapienti ristrutturazioni. Altre volte invece quando la manutenzione è mancata per troppo tempo il tetto può cedere e così nella grande distruzione che segue la casa rimane abbandonata definitivamente. Non per questo perde il suo fascino, al contrario perché si aggiunge l’elemento del mistero. Mi capitò così di trovare una casa di campagna messa purtroppo piuttosto male e mi avvicinai lasciano la strada maestra che percorrevo a piedi. Lungo il vialetto erboso che conduceva si vedevano tracce di amori consumati in auto che lasciano segni della loro presenza clandestina e occultata. Avvicinandomi ulteriormente si apriva lo spazio dell’aia dove all’epoca si svolgeva molto dell’attività di lavorazione dei frutti della terra. Guardavo la casa con alcune finestre socchiuse e altre squinternate e pericolanti. Il tetto era crollato con le travi divelte e penzoloni nel vuoto e là dove c’erano spazi e locali adesso c’era una voragine che ingoiava la vita contadina che vi si svolgeva. Immaginavo le famiglie di una volta, le persone, i giovani e vecchi che vivevano la medesima realtà che si aiutavano nella dura vita lavorativa e allevavano i piccoli in una comunità autosufficiente e bastante a sé stessa. Entrando nell’edificio immaginavo la destinazione d’uso delle stanze, la cucina, la porcilaia, la stalla, le camere al piano superiore erano ormai irraggiungibili per la scala crollata. In alcuni locali con pavimenti in cotto in frantumi e muri sbrecciati si ammassavano oggetti di risulta rotti e inservibili con gli immancabili pneumatici e vecchie stufe arrugginite. Escrementi di animali. Da basso c’era poi una vecchia porta di legno antico in parte marcito con l’umidità della pioggia non più estromessa dal suo lavoro distruttivo. Spingevo, ma non si apriva. Forzavo, ma resisteva al disvelamento del segreto, era bloccata in un’opposizione quasi disperata al disvelamento di segreti che si volevano negare? Cosa c’era dietro? Le case antiche hanno i loro segreti che si formano e si sedimentano con il procedere della vita e con i suoi sbagli, errori, dolori e tentativi. Sentivo di assomigliare quella casa, anche la mia vita formata da parti nascoste o inconfessabili, spesso poco note perfino a me o soprattutto a me, compromesse da successivi crolli causati per via di progetti non sostenibili o pensati in modo approssimato, e accanto trovavo anche luminosità che luccicano nel sole della primavera e di cui se ne può andar perfino fieri, spesso per millantato credito. Così anche le mie stanze interiori chiuse negate, rimosse, rese impenetrabili dal dolore che nega la consapevolezza. Ancora tanto lavoro da fare, per rendere morbidi e accoglienti parti di me che la meditazione e il conosci te stesso dovrà levigare come ha già fatto per altri angoli aguzzi e taglienti. La vita della casa interiore è lunga e fatta di molti momenti. E’ importante sapersi perdonare. Aiuta a guardare avanti. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

alle volte mi capita, non spesso come vorrei, di fare una passeggiata nelle belle zone del Chianti. E’ facile incontrare casolari di campagna in luoghi ameni con ambientazione bucolica di tempi lontani. Data la bellezza dei luoghi queste antiche costruzioni sono state restaurate e rese bellissime da sapienti ristrutturazioni. Altre volte invece quando la manutenzione è mancata per troppo tempo il tetto può cedere e così nella grande distruzione che segue la casa rimane abbandonata definitivamente. Non per questo perde il suo fascino, al contrario perché si aggiunge l’elemento del mistero. Mi capitò così di trovare una casa di campagna messa purtroppo piuttosto male e mi avvicinai lasciano la strada maestra che percorrevo a piedi. Lungo il vialetto erboso che conduceva si vedevano tracce di amori consumati in auto che lasciano segni della loro presenza clandestina e occultata. Avvicinandomi ulteriormente si apriva lo spazio dell’aia dove all’epoca si svolgeva molto dell’attività di lavorazione dei frutti della terra. Guardavo la casa con alcune finestre socchiuse e altre squinternate e pericolanti. Il tetto era crollato con le travi divelte e penzoloni nel vuoto e là dove c’erano spazi e locali adesso c’era una voragine che ingoiava la vita contadina che vi si svolgeva. Immaginavo le famiglie di una volta, le persone, i giovani e vecchi che vivevano la medesima realtà che si aiutavano nella dura vita lavorativa e allevavano i piccoli in una comunità autosufficiente e bastante a sé stessa. Entrando nell’edificio immaginavo la destinazione d’uso delle stanze, la cucina, la porcilaia, la stalla, le camere al piano superiore erano ormai irraggiungibili per la scala crollata. In alcuni locali con pavimenti in cotto in frantumi e muri sbrecciati si ammassavano oggetti di risulta rotti e inservibili con gli immancabili pneumatici e vecchie stufe arrugginite. Escrementi di animali.

Da basso c’era poi una vecchia porta di legno antico in parte marcito con l’umidità della pioggia non più estromessa dal suo lavoro distruttivo. Spingevo, ma non si apriva. Forzavo, ma resisteva al disvelamento del segreto, era bloccata in un’opposizione quasi disperata al disvelamento di segreti che si volevano negare? Cosa c’era dietro? Le case antiche hanno i loro segreti che si formano e si sedimentano con il procedere della vita e con i suoi sbagli, errori, dolori e tentativi. Sentivo di assomigliare quella casa, anche la mia vita formata da parti nascoste o inconfessabili, spesso poco note perfino a me o soprattutto a me, compromesse da successivi crolli causati per via di progetti non sostenibili o pensati in modo approssimato, e accanto trovavo anche luminosità che luccicano nel sole della primavera e di cui se ne può andar perfino fieri, spesso per millantato credito. Così anche le mie stanze interiori chiuse negate, rimosse, rese impenetrabili dal dolore che nega la consapevolezza. Ancora tanto lavoro da fare, per rendere morbidi e accoglienti parti di me che la meditazione e il conosci te stesso dovrà levigare come ha già fatto per altri angoli aguzzi e taglienti. La vita della casa interiore è lunga e fatta di molti momenti. E’ importante sapersi perdonare. Aiuta a guardare avanti.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
La casa.
"Il perdono libera l'anima, rimuove la paura. È per questo che il perdono è un'arma potente." (Nelson Rolihlahla Mandela)
27/03/2021: Anno 2021 - Numero 06  File Pdf
Pubblicato il 27/03/2021
L’addio.
L’addio.
Care amiche e cari amici, nella vita capita che la incontri, anche più volte. E’ sempre quella degli altri, non è mai la tua, non può esserlo ovviamente. Solo l’ultima volta lo sarà, nell’unico appuntamento personale. Questa volta ho incontrato quella di mia madre. Improvvisa direi, anche se attesa, non fosse stato altro che per l’età di 99 anni suonati. Ma me la figuravo diversa e mi ha sorpreso. Come capita a molti il rapporto con la madre non è sempre idilliaco, a molti capita di avere lontananze, mancanze, e anche a me è capitata un’esperienza simile; non si tratta di non essere stato amato ma di non averne percepito l’effetto. Qualche volta i sentimenti non arrivano, non li ricevi ed è proprio come se non fossero mai partiti. L’effetto è il medesimo. Va da sé che questo genera tutta una serie di conseguenze e di dolori ai quali nel corso della vita fai fronte con elaborazioni, prese di coscienza e un sacco di lavoro interiore, da solo e aiutato. Dopo le rabbie, fai in qualche modo pace e trovi forme alternative che mitigano, risolvano, alleviano, alle volte anestetizzano. E così pensi che ci sei riuscito a rifiorire mentre la vita piano piano si stabilizza e si dipana in modo molto più sereno, risolto, e trovi le soluzioni, le risposte, le visioni che spiegano e che consolidano l’essere e lo rendono autonomo e sufficiente a sé stesso, guarito delle ferite e delle carenze. Certo lei rimane sempre la madre, a cui nel momento del bisogno dai l’accudimento e la presenza doverosa e necessaria, con affetto ma ormai senza attaccamento. Come se il rapporto fosse risolto da anni e da decenni ormai. Passato e composto e ti senti autonomo e adulto, senza richieste e senza bisogni. Autosufficiente, autarchico. E infatti mi sembrava e immaginavo che emozioni e dolori erano appartenenti al passato, le lacrime e le rabbie erano di una età lontana, passata, distante, ormai come estranea. Mi ha sorpreso molto quanto ho provato ma non subito, non nella prima giornata. La marea saliva lenta come un maremoto silenzioso che non vedi arrivare e presto esonda dappertutto, non lo contieni, ti allaga il cuore e le lacrime che non immaginavi più lavano antichi ricordi, tante quante non credevo più di avere. E’ come riconoscere che dentro, molto in profondità, il legame c’era da sempre e per sempre ed era per la vita, con chi aveva generato me, nella terra, nella materia nell’esistenza, nell’arcano del dare la vita e nella sacralità del mistero che non puoi vedere. Legami così profondi che non vedi altrimenti che quando senti che si sono dissolti e per assurdo questa mancanza li mette in rilievo e li definisce con contorni che non supponevi, che sono al di là del sentire e del sentimento, che appartengono ad un oltre che era in me, ma di cui non ne supponevo l’esistenza. Sento come se non avessi preso tutto quello che potevo prendere, che della sabbia mi è scivolata tra le dita e non sono riuscito a trattenerla. Così vedendo nel cassettone di camera insieme a due anellini con pietra e a pochi soldi nascosti dietro ad un “non si sa mai…” trovi una vecchissima lettera d’amore al marito che testimonia di una relazione inedita per me, che non è stata mai resa visibile ai figli, nella tenerezza e nell’espressione del sentimento, oscurato appunto. Che certe cose non sta bene dirle e invece sono il sale della vita… L’ultimo regalo della madre è questo, che posso vederla adesso che non c’è più, nelle sue incapacità, incertezze e limiti che racchiudono un amore non espresso a pieno ma che pure esisteva da qualche parte e che si rivela adesso in parole mai dette e non è ancora tardi. Perché non è mai tardi per amare. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

nella vita capita che la incontri, anche più volte. E’ sempre quella degli altri, non è mai la tua, non può esserlo ovviamente. Solo l’ultima volta lo sarà, nell’unico appuntamento personale.

Questa volta ho incontrato quella di mia madre. Improvvisa direi, anche se attesa, non fosse stato altro che per l’età di 99 anni suonati. Ma me la figuravo diversa e mi ha sorpreso. Come capita a molti il rapporto con la madre non è sempre idilliaco, a molti capita di avere lontananze, mancanze, e anche a me è capitata un’esperienza simile; non si tratta di non essere stato amato ma di non averne percepito l’effetto. Qualche volta i sentimenti non arrivano, non li ricevi ed è proprio come se non fossero mai partiti. L’effetto è il medesimo. Va da sé che questo genera tutta una serie di conseguenze e di dolori ai quali nel corso della vita fai fronte con elaborazioni, prese di coscienza e un sacco di lavoro interiore, da solo e aiutato. Dopo le rabbie, fai in qualche modo pace e trovi forme alternative che mitigano, risolvano, alleviano, alle volte anestetizzano. E così pensi che ci sei riuscito a rifiorire mentre la vita piano piano si stabilizza e si dipana in modo molto più sereno, risolto, e trovi le soluzioni, le risposte, le visioni che spiegano e che consolidano l’essere e lo rendono autonomo e sufficiente a sé stesso, guarito delle ferite e delle carenze. Certo lei rimane sempre la madre, a cui nel momento del bisogno dai l’accudimento e la presenza doverosa e necessaria, con affetto ma ormai senza attaccamento. Come se il rapporto fosse risolto da anni e da decenni ormai. Passato e composto e ti senti autonomo e adulto, senza richieste e senza bisogni. Autosufficiente, autarchico. E infatti mi sembrava e immaginavo che emozioni e dolori erano appartenenti al passato, le lacrime e le rabbie erano di una età lontana, passata, distante, ormai come estranea. Mi ha sorpreso molto quanto ho provato ma non subito, non nella prima giornata. La marea saliva lenta come un maremoto silenzioso che non vedi arrivare e presto esonda dappertutto, non lo contieni, ti allaga il cuore e le lacrime che non immaginavi più lavano antichi ricordi, tante quante non credevo più di avere. E’ come riconoscere che dentro, molto in profondità, il legame c’era da sempre e per sempre ed era per la vita, con chi aveva generato me, nella terra, nella materia nell’esistenza, nell’arcano del dare la vita e nella sacralità del mistero che non puoi vedere. Legami così profondi che non vedi altrimenti che quando senti che si sono dissolti e per assurdo questa mancanza li mette in rilievo e li definisce con contorni che non supponevi, che sono al di là del sentire e del sentimento, che appartengono ad un oltre che era in me, ma di cui non ne supponevo l’esistenza. Sento come se non avessi preso tutto quello che potevo prendere, che della sabbia mi è scivolata tra le dita e non sono riuscito a trattenerla. Così vedendo nel cassettone di camera insieme a due anellini con pietra e a pochi soldi nascosti dietro ad un “non si sa mai…” trovi una vecchissima lettera d’amore al marito che testimonia di una relazione inedita per me, che non è stata mai resa visibile ai figli, nella tenerezza e nell’espressione del sentimento, oscurato appunto. Che certe cose non sta bene dirle e invece sono il sale della vita… L’ultimo regalo della madre è questo, che posso vederla adesso che non c’è più, nelle sue incapacità, incertezze e limiti che racchiudono un amore non espresso a pieno ma che pure esisteva da qualche parte e che si rivela adesso in parole mai dette e non è ancora tardi. Perché non è mai tardi per amare.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
L’addio.
"Tienimi per mano al tramonto, quando la luce del giorno si spegne e l’oscurità fa scivolare il suo drappo di stelle… Tienila stretta quando non riesco a viverlo questo mondo imperfetto… Tienimi per mano… portami dove il tempo non esiste…." (Herman Hesse)
Allegati Allegati: Zefiro.2021.06
13/03/2021: Anno 2021 - Numero 05  File Pdf
Pubblicato il 12/03/2021
Il pericolo.
Il pericolo.
Care amiche e cari amici, oggi ho scelto come tema il pericolo, un argomento un po’ particolare… Vediamo. Il concetto di pericolo è legato ad una situazione concreta che potenzialmente può portare danno. Il rischio invece è il fattore di probabilità che un evento accada ed è così associato al pericolo, quindi si concretizza in una scelta di intraprendere o meno un’azione, mentre il pericolo è l’elemento esistente in sé, indipendente da me, è una proprietà intrinseca di uno stato o di una situazione. E’ in qualche modo legato ad uno stato naturale della condizione della vita, ha una connotazione esistenziale, come dice Nietzsche. La vita è accettare e accogliere il pericolo che in essa è connaturato, anche a costo di perderla. Nella vita niente è sicuro, niente è certo, solo la morte lo è, e infatti nel pericolo di vivere c’è l’accettazione della morte. Tra i tanti anche Osho parla del fascino di una vita vissuta pericolosamente, il pericolo che innesca l’adrenalina, l’ardimento, il dare un senso, la sfida, il confronto e qui l’eroe prende corpo, e con lui il senso di gloria per aver affrontato l’azzardo; non so se questo possa essere più o meno evidente, ma dentro la persona il sentimento penso che sia questo. Non è detto che poi la sfida sia solo necessariamente all’esterno di me, nel mondo, ma può essere anche dentro, nell’intimo e non è per questo meno priva di possibili incontri che possono suscitare emozioni e consapevolezze che distolgono da un tranquillo vivere. La meditazione secondo me ne è un esempio. La scoperta di sé è rischio e incanto, il pericolo è così legato ad uno stato mentale che si predispone e si apre all’incontro con il non conosciuto, è il superare la soglia, andare in una zona non conosciuta al di là della riga rossa del consueto, vivere il nuovo di cui non conosco limiti e confini e per questo è porta di accesso al pericolo ma anche alla crescita. La vita così serve a qualcosa che vale. Questo senso del vivere alle volte può mettere in forse la vita stessa ma proprio per questo la rafforza in un significato che va oltre il bios, la vita puramente biologica della macchina corporea ed è così che si alimenta e sviluppa delle forze dello spirito e della conoscenza. Avere cura di sé è corretto e doveroso ma accettare qualsiasi cosa pur di non perdere la vita, anche a costo di snaturarla dei suoi contenuti relazionali e umani, è altra cosa. Non voglio perdere la gioia di vivere che trasforma l’incertezza in una risorsa preziosa e non voglio rinunciare a questo per paura di poter eventualmente morire durante l’avventura del vivere. La paura di morire è un sentimento molto sano che porta l’umano a poter sopravvivere ad eventi altrimenti fatali, ma penso che quando questa diventa così invasiva e assoluta da far rimanere bloccati in uno stato di barricamento emozionale dove sono disposto a tutto pur di non correre il rischio di morire per un mero perdurare biologico, allora secondo me si è superato il limite di guardia e non vale più la pena di vivere una vita snaturata e svotata di emozioni come un guscio d’uovo. Qualcuno potrà vedere in questo una critica alle profilassi anti virus che sono così diffuse e nascondono paure che vanno al di là della pandemia. Non voglio innescare polemiche e d’altronde penso che quanto dicevo ha un suo senso anche al di là di questo argomento. In ogni caso vi confesso che sono uno che abbraccia le persone con gioia perché penso che un gesto empatico e gioioso attiva difese immunitarie che difendono molto di più di un distanziamento sociale asettico, probabilmente imposto più per motivi politici che di profilassi igienica. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

oggi ho scelto come tema il pericolo, un argomento un po’ particolare… Vediamo.

Il concetto di pericolo è legato ad una situazione concreta che potenzialmente può portare danno. Il rischio invece è il fattore di probabilità che un evento accada ed è così associato al pericolo, quindi si concretizza in una scelta di intraprendere o meno un’azione, mentre il pericolo è l’elemento esistente in sé, indipendente da me, è una proprietà intrinseca di uno stato o di una situazione. E’ in qualche modo legato ad uno stato naturale della condizione della vita, ha una connotazione esistenziale, come dice Nietzsche. La vita è accettare e accogliere il pericolo che in essa è connaturato, anche a costo di perderla. Nella vita niente è sicuro, niente è certo, solo la morte lo è, e infatti nel pericolo di vivere c’è l’accettazione della morte. Tra i tanti anche Osho parla del fascino di una vita vissuta pericolosamente, il pericolo che innesca l’adrenalina, l’ardimento, il dare un senso, la sfida, il confronto e qui l’eroe prende corpo, e con lui il senso di gloria per aver affrontato l’azzardo; non so se questo possa essere più o meno evidente, ma dentro la persona il sentimento penso che sia questo. Non è detto che poi la sfida sia solo necessariamente all’esterno di me, nel mondo, ma può essere anche dentro, nell’intimo e non è per questo meno priva di possibili incontri che possono suscitare emozioni e consapevolezze che distolgono da un tranquillo vivere. La meditazione secondo me ne è un esempio. La scoperta di sé è rischio e incanto, il pericolo è così legato ad uno stato mentale che si predispone e si apre all’incontro con il non conosciuto, è il superare la soglia, andare in una zona non conosciuta al di là della riga rossa del consueto, vivere il nuovo di cui non conosco limiti e confini e per questo è porta di accesso al pericolo ma anche alla crescita. La vita così serve a qualcosa che vale.

Questo senso del vivere alle volte può mettere in forse la vita stessa ma proprio per questo la rafforza in un significato che va oltre il bios, la vita puramente biologica della macchina corporea ed è così che si alimenta e sviluppa delle forze dello spirito e della conoscenza. Avere cura di sé è corretto e doveroso ma accettare qualsiasi cosa pur di non perdere la vita, anche a costo di snaturarla dei suoi contenuti relazionali e umani, è altra cosa. Non voglio perdere la gioia di vivere che trasforma l’incertezza in una risorsa preziosa e non voglio rinunciare a questo per paura di poter eventualmente morire durante l’avventura del vivere. La paura di morire è un sentimento molto sano che porta l’umano a poter sopravvivere ad eventi altrimenti fatali, ma penso che quando questa diventa così invasiva e assoluta da far rimanere bloccati in uno stato di barricamento emozionale dove sono disposto a tutto pur di non correre il rischio di morire per un mero perdurare biologico, allora secondo me si è superato il limite di guardia e non vale più la pena di vivere una vita snaturata e svotata di emozioni come un guscio d’uovo. Qualcuno potrà vedere in questo una critica alle profilassi anti virus che sono così diffuse e nascondono paure che vanno al di là della pandemia. Non voglio innescare polemiche e d’altronde penso che quanto dicevo ha un suo senso anche al di là di questo argomento. In ogni caso vi confesso che sono uno che abbraccia le persone con gioia perché penso che un gesto empatico e gioioso attiva difese immunitarie che difendono molto di più di un distanziamento sociale asettico, probabilmente imposto più per motivi politici che di profilassi igienica.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Il pericolo.
"La vita è pericolo." (Friedrich Nietzsche)
Allegati Allegati: Zefiro.2021.05
27/02/2021: Anno 2021 - Numero 04  File Pdf
Pubblicato il 26/02/2021
Difficoltà.
Difficoltà.
Care amiche e cari amici, è da tempo che questa immagine è sul mio computer. La guardo di frequente e cerco di ascoltare il messaggio, come se mi volesse parlare. Certo è un volto triste, ma c’è altro che vuole venir fuori. So che è una bambina mediorientale di cui non conosco nazionalità, parla di dolore, di quello grande, così grande che non si può contenere, che ti sovrasta e ti schiaccia, che non ha limite. Che si arrende nella disperazione, ridotta al silenzio. Al di là rimane la vita che ancora non muore e il soffrire unica immagine davanti allo sguardo che non si consola. Il pianto di una bambina già adulta e penso di controcanto al pianto di tanti adulti ancora bambini per sempre, ad un frignare viziato e pretenzioso. Il dolore è un sentimento generato dall’intimo, da forze che possono essere molto diverse e il pianto è una delle sue espressioni, nelle tante sfumature e tonalità diverse. Questo quando c’è il conflitto dichiarato, quando ti sparano dagli elicotteri per uccidere. Poi c’è anche il dolore più borghese, casalingo dove non si rischia la vita ma è pur sempre presente una difficoltà spesso indotta da altri e che rievoca nostre ferite. Dov’è la riga rossa tracciata per terra che delimita la pigra zona di confort protetta da una consuetudinarietà ripetitiva, dall’altro luogo sconfinato in cui prendersi carico di affrontare l’imprevisto, il disagio, lo squilibro interiore che smarrisce le certezze. O di qui o di là. Accetto questo disagio? Che valore gli do? Una opportunità o un accidente? Come affronto le mie difficoltà? Quale animo metto in gioco quando le cose non vanno bene, quando non riesco a risolvere un intralcio? Prendere una distanza per vedere meglio il contesto e le circostanze? Fare centro sulle mie forze, cercando di non aspettarsi dal mondo degli aiuti incerti? Contare sul fatto di essere saldo ed eretto nella difficoltà? Fare a pugni con Dio? Fare a pugni con il destino? Tirare fuori la rabbia necessaria per far appello a tutte le energie, una specie di chiamata a raccolta generale di tutto di cui posso disporre? … Oppure far finta di essere il saggio che non sono e che resta imperscrutabile nelle difficoltà e nella gioia, millantando supposta serenità che nasconde vera paura? Ribellarsi, lottare, arrendersi, piangere, imprecare, dare pugni al vento, urlare, fare silenzio, meditare, concentrarsi, pregare, aggrapparsi … Ma non arrendersi. Alle volte mi rendo conto che chiamo destino quello che ho costruito con calma e grande cura per anni senza conoscerne le cause che stavo predisponendo e che si sarebbero poi attivate ora, nell’adesso. Perché non conosco me stesso e ciò che si muove nel profondo, nell’ombra, e questa non è solo ignoranza gratuita, ma una fabbrica di problemi per la vita, che ne viene quindi investita, come immagine di un architetto che non conosce le regole auree dell’edificare e che inevitabilmente genera instabilità e crolli rovinosi. E se è vero, come dice il maestro, che nessun meccanismo può liberarmi dalla legge del mio essere, sta anche a me cercare instancabilmente ed in ogni modo di superare la difficoltà. Guai agli ignavi, il vizio dell’accidia è grande inciampo per l’anima. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

è da tempo che questa immagine è sul mio computer. La guardo di frequente e cerco di ascoltare il messaggio, come se mi volesse parlare. Certo è un volto triste, ma c’è altro che vuole venir fuori. So che è una bambina mediorientale di cui non conosco nazionalità, parla di dolore, di quello grande, così grande che non si può contenere, che ti sovrasta e ti schiaccia, che non ha limite. Che si arrende nella disperazione, ridotta al silenzio. Al di là rimane la vita che ancora non muore e il soffrire unica immagine davanti allo sguardo che non si consola. Il pianto di una bambina già adulta e penso di controcanto al pianto di tanti adulti ancora bambini per sempre, ad un frignare viziato e pretenzioso. Il dolore è un sentimento generato dall’intimo, da forze che possono essere molto diverse e il pianto è una delle sue espressioni, nelle tante sfumature e tonalità diverse.

Questo quando c’è il conflitto dichiarato, quando ti sparano dagli elicotteri per uccidere. Poi c’è anche il dolore più borghese, casalingo dove non si rischia la vita ma è pur sempre presente una difficoltà spesso indotta da altri e che rievoca nostre ferite. Dov’è la riga rossa tracciata per terra che delimita la pigra zona di confort protetta da una consuetudinarietà ripetitiva, dall’altro luogo sconfinato in cui prendersi carico di affrontare l’imprevisto, il disagio, lo squilibro interiore che smarrisce le certezze. O di qui o di là. Accetto questo disagio? Che valore gli do? Una opportunità o un accidente?

Come affronto le mie difficoltà? Quale animo metto in gioco quando le cose non vanno bene, quando non riesco a risolvere un intralcio? Prendere una distanza per vedere meglio il contesto e le circostanze? Fare centro sulle mie forze, cercando di non aspettarsi dal mondo degli aiuti incerti? Contare sul fatto di essere saldo ed eretto nella difficoltà? Fare a pugni con Dio? Fare a pugni con il destino? Tirare fuori la rabbia necessaria per far appello a tutte le energie, una specie di chiamata a raccolta generale di tutto di cui posso disporre? … Oppure far finta di essere il saggio che non sono e che resta imperscrutabile nelle difficoltà e nella gioia, millantando supposta serenità che nasconde vera paura?

Ribellarsi, lottare, arrendersi, piangere, imprecare, dare pugni al vento, urlare, fare silenzio, meditare, concentrarsi, pregare, aggrapparsi … Ma non arrendersi. Alle volte mi rendo conto che chiamo destino quello che ho costruito con calma e grande cura per anni senza conoscerne le cause che stavo predisponendo e che si sarebbero poi attivate ora, nell’adesso. Perché non conosco me stesso e ciò che si muove nel profondo, nell’ombra, e questa non è solo ignoranza gratuita, ma una fabbrica di problemi per la vita, che ne viene quindi investita, come immagine di un architetto che non conosce le regole auree dell’edificare e che inevitabilmente genera instabilità e crolli rovinosi. E se è vero, come dice il maestro, che nessun meccanismo può liberarmi dalla legge del mio essere, sta anche a me cercare instancabilmente ed in ogni modo di superare la difficoltà. Guai agli ignavi, il vizio dell’accidia è grande inciampo per l’anima.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Difficoltà.
"Questa smarrita specie umana sogna sempre di raggiungere la perfezione del suo ambiente con il meccanismo di un governo o di una società... Solo ciò che sarai dentro di te, quello godrai di fuori. Nessun meccanismo può liberarti dalla legge del tuo essere." (Sri Aurobindo)
Allegati Allegati: Zefiro.2021.04
13/02/2021: Anno 2021 - Numero 03  File Pdf
Pubblicato il 16/02/2021
La stampella.
La stampella.
Care amiche e cari amici, un po’ per carattere e un po’ per riguardo o timidezza, cerco di essere una persona che cammina sulle sue gambe senza appoggiarsi troppo agli altri, non per sfiducia, ma per modo di essere. Mi chiedo però quanto questo sia davvero la verità, quanto sia così bastante a me stesso. Penso sia una questione di come vedo le cose, di come interpreto il mondo e quello che di lui vivo. Se ci penso un po’ più con attenzione non è proprio vero che basto del tutto a me stesso nell’affrontare eventi, difficoltà o anche il semplice vivere quotidiano. Quello che voglio dire è che sono tante le cose che mi danno sostegno anche se non me ne rendo conto quando le vivo e di cui pur ne sento la mancanza quando ahimè non sono più con me. Comprendo allora di quanto mi sentivo falsamente forte e centrato, quando questa forza non era mia ma proveniva ad altro da me di cui non ero consapevole. Quante sono dunque le stampelle che mi sostengono e offrono il loro supporto al procedere nel cammino? … Non è facile percepire l’aiuto che ricevo in ogni momento, e quante cose contribuiscono a rendere il procedere possibile, se le conto sono una infinità, centinaia, praticamente tutto. Quanto è grande l’abbondanza che è profusa per me nel banchetto della vita! Da quante persone sono aiutato anche solo con la loro presenza… Così anche questi articoli che leggete sono un grande supporto alla mia crescita e mi hanno aiutato molto nel processo di conoscenza interiore, seppur ho ancora molto da lavorare, e voi ne siete parte integrante, come la motivazione che nel servizio mi incita alla ricerca, un impegno a cui sento di contribuire, che non è fatica ma aiuto a perseverare nel lavoro. Crescita comune e comune trasformazione. È come avere una stampella che aiuta nel passo il claudicante, ma spesso sono stampelle invisibili eppur molto importanti senza le quali si rischierebbe di non proseguire. Si percepiscono? Le vedo? E’ importante riconoscerle perché altrimenti non posso essere grato nell’intimo, non ci può essere riconoscenza e ringraziamento alla vita che dona in ugual misura fatica e letizia. Questo credo che valga per ciò che si riceve e che quindi si acquisisce nel dono ricevuto. Altra cosa per quanto riesco a donare nell’amore. In questo caso la cosa diventa simile alla meditazione che può solo essere, senza essere distratta nell’osservarsi. Come dice Krisnamurti, l’amore è e non si accorge di essere dono offerto. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

un po’ per carattere e un po’ per riguardo o timidezza, cerco di essere una persona che cammina sulle sue gambe senza appoggiarsi troppo agli altri, non per sfiducia, ma per modo di essere. Mi chiedo però quanto questo sia davvero la verità, quanto sia così bastante a me stesso. Penso sia una questione di come vedo le cose, di come interpreto il mondo e quello che di lui vivo. Se ci penso un po’ più con attenzione non è proprio vero che basto del tutto a me stesso nell’affrontare eventi, difficoltà o anche il semplice vivere quotidiano. Quello che voglio dire è che sono tante le cose che mi danno sostegno anche se non me ne rendo conto quando le vivo e di cui pur ne sento la mancanza quando ahimè non sono più con me. Comprendo allora di quanto mi sentivo falsamente forte e centrato, quando questa forza non era mia ma proveniva ad altro da me di cui non ero consapevole. Quante sono dunque le stampelle che mi sostengono e offrono il loro supporto al procedere nel cammino? … Non è facile percepire l’aiuto che ricevo in ogni momento, e quante cose contribuiscono a rendere il procedere possibile, se le conto sono una infinità, centinaia, praticamente tutto. Quanto è grande l’abbondanza che è profusa per me nel banchetto della vita! Da quante persone sono aiutato anche solo con la loro presenza… Così anche questi articoli che leggete sono un grande supporto alla mia crescita e mi hanno aiutato molto nel processo di conoscenza interiore, seppur ho ancora molto da lavorare, e voi ne siete parte integrante, come la motivazione che nel servizio mi incita alla ricerca, un impegno a cui sento di contribuire, che non è fatica ma aiuto a perseverare nel lavoro. Crescita comune e comune trasformazione. È come avere una stampella che aiuta nel passo il claudicante, ma spesso sono stampelle invisibili eppur molto importanti senza le quali si rischierebbe di non proseguire. Si percepiscono? Le vedo? E’ importante riconoscerle perché altrimenti non posso essere grato nell’intimo, non ci può essere riconoscenza e ringraziamento alla vita che dona in ugual misura fatica e letizia.

Questo credo che valga per ciò che si riceve e che quindi si acquisisce nel dono ricevuto. Altra cosa per quanto riesco a donare nell’amore. In questo caso la cosa diventa simile alla meditazione che può solo essere, senza essere distratta nell’osservarsi. Come dice Krisnamurti, l’amore è e non si accorge di essere dono offerto.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
La stampella.
"La ricerca della felicità… “…dunque la libertà e l'amore vanno di pari passo. L'amore non è una reazione. Se amo qualcuno perché questo qualcuno ama me, si tratta semplicemente di uno scambio, è come comprare qualcosa al mercato, non è amore. Si ama quando non si chiede nulla in cambio, quando non ci si accorge nemmeno che si sta dando qualcosa - e solo un amore così può conoscere la libertà”." (Jiddu Krisnamurti)
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Comunità di Meditazione Interreligiosa Fiorentina
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Versione: 1.5
Rilasciata il: 06/02/2014
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