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Radio Voce della Speranza

Lo Zefiro

Notiziario Interreligioso
Redazione: Marco Lazzeri
Telefono: 335.6415395
Pagina:
28/03/2020: Anno 2020 - Numero 06  File Pdf
Pubblicato il 29/03/2020
Il Mondo Nuovo (Tiepolo).
Il Mondo Nuovo (Tiepolo).
Care amiche e cari amici, un amico mi chiede una riflessione per “ripensare a molte delle cose che oggi ancora sono il nostro tessuto quotidiano e sulle quali raramente abbiamo posto mente per collocarle al giusto posto nella scala di valori della nostra vita, basando il tutto su quello che oggi può anche sembrare uno sguardo da ubriachi, ma che invece…”. Ringrazio di questa richiesta che per me è una opportunità di riflessione e di ricerca di una espressione da portare a coscienza di quanto sto vivendo in questo momento di quarantena della vita. La ricerca deve partire ovviamente da uno scendere nel profondo, per quanto riesco, in un ascolto delle sensazioni e delle voci che emergono e che risuonano in un luogo non sempre accessibile ma che pur udibili, possono parlare dei bisogni dei sogni non realizzati, dei dolori sedimentati sotto tante banalità anestetizzanti la coscienza e il richiamo ad addivenire ad un risveglio. Un risveglio appunto... Un richiamo al nostro senso di esistere in una vita che non può essere una banalità tra shopping compulsivo e un’ossessiva ricerca di un divertimento privo di senso, accompagnato da psicofarmaci di ogni tipo, orientato solo alla banalizzazione del tempo della nostra vita che per questo perde qualsiasi sacralità. Lo stare fermo in casa in una lunga attesa, che ogni giorno si fa più lunga ma anche più quieta, mi fa percepire il bisogno di una Rivoluzione! Un cambiamento radicale, allegro, non violento, una Rivoluzione Culturale potente e sovversiva di un ordine non più naturale e nemmeno umano, che possa disarcionare tutte le abitudini inutili, polverose e in grado di dare vitalità vera, il senso di una vita spesa bene per sé stessi e soprattutto nel servizio agli altri, in una danza di dare e ricevere vicendevole, con attenzione e conforto. Il silenzio delle strade senza auto che alcuni definiscono irreale perché innaturale rispetto alla frenesia caotica fino a pochi giorni fa assolutamente scontata e ovvia, mi vuole chiamare ad immaginare una vita differente, perché c'è una alternativa, perché un mondo diverso è possibile. Non un mondo dove non si lavora e si ozia invano, certo non un mondo dove non c'è impegno per una economia e una costruzione della società ma dove altresì il focus non è il solo profitto e la conquista di potere sull'altro, dove si sia in grado di inventare una convivenza nuova basata sul altri principi come la solidarietà, il mutuo soccorso, il lavoro come strumento di emancipazione dell'umano e non come prigione che uccide, il tempo libero per curare gli interessi personali, dove la cultura sia per il bene comune e abbia accesso da parte di tutti, in termini di istruzione vera, socratica, e non a premi con domande quiz, dove lo scopo non sia prendere un attestato per trovare un lavoro che poi non c'è, ma che sia un ampliamento dell'orizzonte che riesco ad abbracciare e che mi presenti visioni nuove e capacità maggiori di comprendere ed elaborare la mia vita nella sua complessità e interezza, di affrontare le difficoltà e i blocchi interiori, le paure. L’accesso all’arte, al suo mondo meraviglioso, purtroppo spesso lontano. Dare un senso a parole come gentilezza, benevolenza, aiuto. Non voglio certo con queste due righe dettare schemi e regole che non sarei nemmeno in grado di vedere con chiarezza e per le quali occorrono conoscenze in varie discipline filosofiche, umanistiche, sociologiche, economiche, artistiche e poi alla fine, ma solo alla fine, tecniche. Perché la tecnica (nonché l’economia…) deve essere solo uno strumento, tecnico appunto, e non l'architettura del sociale, non il suo paradigma, ma una semplice modalità per realizzare ed applicare quanto il cuore e la mente filosofica e umanistica hanno immaginato come scenario di un vivere comune. Si parlava di "sguardo da ubriachi" e questo io restituisco senza alcuna pretesa di coerenza o di completezza, dicendo però anche che non vuole essere una visione distorta di una mente annebbiata da fumi di sostanze né allucinogene né psicotrope, ma una ricerca di un'anima che desidera trovare il modo di imboccare un sentiero diverso e che prospetti un futuro possibile in mezzo a tutti i pericoli e disastri prodotti da una società orientata da una visione arcaica maschilista, autoritaria ed ego centrata, sicuramente guerriera e guerrafondaia, distruttiva per vocazione e per sua necessità di sopravvivenza, in una continua competizione dove ci si trova circondati solo da nemici, dove si riesce ad esistere solo se si vince uccidendo l'altro o ammutolendolo con urla sempre più sovrastanti, non condivisa da un sentire che vede e declina anche al femminile il mondo e la vita, in una visione dello splendore del vivente, della sacralità e del trascendente che ci chiama ad un senso totalmente altro rispetto alla banalità di ciò che è stato proposto e messo sull'altare dell'inevitabile necessità. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

un amico mi chiede una riflessione per “ripensare a molte delle cose che oggi ancora sono il nostro tessuto quotidiano e sulle quali raramente abbiamo posto mente per collocarle al giusto posto nella scala di valori della nostra vita, basando il tutto su quello che oggi può anche sembrare uno sguardo da ubriachi, ma che invece…”.

Ringrazio di questa richiesta che per me è una opportunità di riflessione e di ricerca di una espressione da portare a coscienza di quanto sto vivendo in questo momento di quarantena della vita. La ricerca deve partire ovviamente da uno scendere nel profondo, per quanto riesco, in un ascolto delle sensazioni e delle voci che emergono e che risuonano in un luogo non sempre accessibile ma che pur udibili, possono parlare dei bisogni dei sogni non realizzati, dei dolori sedimentati sotto tante banalità anestetizzanti la coscienza e il richiamo ad addivenire ad un risveglio. Un risveglio appunto... Un richiamo al nostro senso di esistere in una vita che non può essere una banalità tra shopping compulsivo e un’ossessiva ricerca di un divertimento privo di senso, accompagnato da psicofarmaci di ogni tipo, orientato solo alla banalizzazione del tempo della nostra vita che per questo perde qualsiasi sacralità. Lo stare fermo in casa in una lunga attesa, che ogni giorno si fa più lunga ma anche più quieta, mi fa percepire il bisogno di una Rivoluzione! Un cambiamento radicale, allegro, non violento, una Rivoluzione Culturale potente e sovversiva di un ordine non più naturale e nemmeno umano, che possa disarcionare tutte le abitudini inutili, polverose e in grado di dare vitalità vera, il senso di una vita spesa bene per sé stessi e soprattutto nel servizio agli altri, in una danza di dare e ricevere vicendevole, con attenzione e conforto. Il silenzio delle strade senza auto che alcuni definiscono irreale perché innaturale rispetto alla frenesia caotica fino a pochi giorni fa assolutamente scontata e ovvia, mi vuole chiamare ad immaginare una vita differente, perché c'è una alternativa, perché un mondo diverso è possibile. Non un mondo dove non si lavora e si ozia invano, certo non un mondo dove non c'è impegno per una economia e una costruzione della società ma dove altresì il focus non è il solo profitto e la conquista di potere sull'altro, dove si sia in grado di inventare una convivenza nuova basata sul altri principi come la solidarietà, il mutuo soccorso, il lavoro come strumento di emancipazione dell'umano e non come prigione che uccide, il tempo libero per curare gli interessi personali, dove la cultura sia per il bene comune e abbia accesso da parte di tutti, in termini di istruzione vera, socratica, e non a premi con domande quiz, dove lo scopo non sia prendere un attestato per trovare un lavoro che poi non c'è, ma che sia un ampliamento dell'orizzonte che riesco ad abbracciare e che mi presenti visioni nuove e capacità maggiori di comprendere ed elaborare la mia vita nella sua complessità e interezza, di affrontare le difficoltà e i blocchi interiori, le paure. L’accesso all’arte, al suo mondo meraviglioso, purtroppo spesso lontano. Dare un senso a parole come gentilezza, benevolenza, aiuto.

Non voglio certo con queste due righe dettare schemi e regole che non sarei nemmeno in grado di vedere con chiarezza e per le quali occorrono conoscenze in varie discipline filosofiche, umanistiche, sociologiche, economiche, artistiche e poi alla fine, ma solo alla fine, tecniche. Perché la tecnica (nonché l’economia…) deve essere solo uno strumento, tecnico appunto, e non l'architettura del sociale, non il suo paradigma, ma una semplice modalità per realizzare ed applicare quanto il cuore e la mente filosofica e umanistica hanno immaginato come scenario di un vivere comune.

Si parlava di "sguardo da ubriachi" e questo io restituisco senza alcuna pretesa di coerenza o di completezza, dicendo però anche che non vuole essere una visione distorta di una mente annebbiata da fumi di sostanze né allucinogene né psicotrope, ma una ricerca di un'anima che desidera trovare il modo di imboccare un sentiero diverso e che prospetti un futuro possibile in mezzo a tutti i pericoli e disastri prodotti da una società orientata da una visione arcaica maschilista, autoritaria ed ego centrata, sicuramente guerriera e guerrafondaia, distruttiva per vocazione e per sua necessità di sopravvivenza, in una continua competizione dove ci si trova circondati solo da nemici, dove si riesce ad esistere solo se si vince uccidendo l'altro o ammutolendolo con urla sempre più sovrastanti, non condivisa da un sentire che vede e declina anche al femminile il mondo e la vita, in una visione dello splendore del vivente, della sacralità e del trascendente che ci chiama ad un senso totalmente altro rispetto alla banalità di ciò che è stato proposto e messo sull'altare dell'inevitabile necessità.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Il Mondo Nuovo (Tiepolo).
"Volevo solo dire questo: la miseria che c'è qui è davvero terribile - eppure la sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore si innalza sempre una voce: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine dovremo opporre un frammento di amore e di bontà che bisognerà conquistare in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. Etty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943." (Etty Hillesum)
Allegati Allegati: Zefiro.2020.06
14/03/2020: Anno 2020 - Numero 05  File Pdf
Pubblicato il 13/03/2020
Solidarietà.
Solidarietà.
Care amiche e cari amici, in relazione al numero precedente de Lo Zefiro sul Coronavirus, condivido dei messaggi di riflessione, speranza e solidarietà che mi sono arrivati. Il primo è di Marco Ferrini della Comunità Mormone di Firenze. Grazie Marco per i tuoi bei pensieri. Ritrovo moltissimo in quello che hai scritto anche di quelle che sono state le mie riflessioni in questi giorni di allarme e psicosi. Per i mortali la morte è sempre dietro l’angolo. Posso uscire fuori dall’uscio con le mani lavate, la mascherina e la massima distanza dai miei simili per poi cadere vittima di un incidente e fatalmente non rialzarmi più. Ma per chi ha la consapevolezza di essere più di un corpo mortale, ma un essere la cui esistenza si estende prima e dopo di questa vita, la morte è solo un passaggio come lo è stato la nascita. Con questa consapevolezza e la pace che ne deriva si può imparare meglio a pensare al prossimo prima che a noi stessi. L’italiano medio cerca le mascherine per non essere contagiato, l’orientale porta la mascherina per non contagiare. È molto diverso, è questione di educazione, di cultura. Spero che in questo periodo in cui molti rimangono a casa, non vivano questa chiusura per accrescere un senso di individualismo, ma come un momento guadagnato per riflettere e meditare. Lo spero... Grazie ancora Marco! Cordiali saluti, Marco Ferrini Ed ecco un messaggio di Marilena Giambone del Centro EWAM: Impariamo a capire che questa è una lotta contro le nostre abitudini e non contro un virus. Questa è un’occasione per trasformare un’emergenza in una gara di solidarietà. Cambiamo il modo di vedere e di pensare. Non sono più “io ho paura del contagio” oppure “io me ne frego del contagio”, ma sono IO che preservo l’ALTRO. Io mi preoccupo per te. Io mi tengo a distanza per te. Io mi lavo le mani per te. Io rinuncio a quel viaggio per te. Io non vado al concerto per te. Io non vado al centro commerciale per te. Per te. Per te che sei dentro una sala di terapia intensiva. Per te che sei anziano e fragile, ma la cui vita ha valore tanto quanto la mia. Per te che stai lottando con un cancro e non puoi lottare anche con questo. Vi prego, alziamo lo sguardo. Io spero che in #ItaliaNonSiFerma la solidarietà. Tutto il resto non ha importanza. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

in relazione al numero precedente de Lo Zefiro sul Coronavirus, condivido dei messaggi di riflessione, speranza e solidarietà che mi sono arrivati.

Il primo è di Marco Ferrini della Comunità Mormone di Firenze.

Grazie Marco per i tuoi bei pensieri.

Ritrovo moltissimo in quello che hai scritto anche di quelle che sono state le mie riflessioni in questi giorni di allarme e psicosi.

Per i mortali la morte è sempre dietro l’angolo. Posso uscire fuori dall’uscio con le mani lavate, la mascherina e la massima distanza dai miei simili per poi cadere vittima di un incidente e fatalmente non rialzarmi più. Ma per chi ha la consapevolezza di essere più di un corpo mortale, ma un essere la cui esistenza si estende prima e dopo di questa vita, la morte è solo un passaggio come lo è stato la nascita.

Con questa consapevolezza e la pace che ne deriva si può imparare meglio a pensare al prossimo prima che a noi stessi.

L’italiano medio cerca le mascherine per non essere contagiato, l’orientale porta la mascherina per non contagiare. È molto diverso, è questione di educazione, di cultura.

Spero che in questo periodo in cui molti rimangono a casa, non vivano questa chiusura per accrescere un senso di individualismo, ma come un momento guadagnato per riflettere e meditare.

Lo spero...

Grazie ancora Marco!

Cordiali saluti,

Marco Ferrini

Ed ecco un messaggio di Marilena Giambone del Centro EWAM:

Impariamo a capire che questa è una lotta contro le nostre abitudini e non contro un virus. Questa è un’occasione per trasformare un’emergenza in una gara di solidarietà. Cambiamo il modo di vedere e di pensare.

Non sono più “io ho paura del contagio” oppure “io me ne frego del contagio”, ma sono IO che preservo l’ALTRO.

Io mi preoccupo per te.

Io mi tengo a distanza per te.

Io mi lavo le mani per te.

Io rinuncio a quel viaggio per te.

Io non vado al concerto per te.

Io non vado al centro commerciale per te.

Per te.

Per te che sei dentro una sala di terapia intensiva.

Per te che sei anziano e fragile, ma la cui vita ha valore tanto quanto la mia.

Per te che stai lottando con un cancro e non puoi lottare anche con questo.

Vi prego, alziamo lo sguardo.

Io spero che in #ItaliaNonSiFerma la solidarietà.

Tutto il resto non ha importanza.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Solidarietà.
"Io non appartengo ad alcuna religione. La mia religione è l’amore. Ogni cuore è il mio tempio." (Jalal al-Din Rumi)
29/02/2020: Anno 2020 - Numero 04  File Pdf
Pubblicato il 10/03/2020
Coronavirus.
Coronavirus.
Care amiche e cari amici, siamo in mezzo ad un altro problema, un dramma forse o forse no, e di dimensioni al momento non ben identificabili. Una annunciata pandemia di virus pericoloso e di paura, questa non annunciata ma indotta e vera, ancor più contagiosa, di rabbia verso il diverso, lo straniero, l’untore, il colpevole. Politici che stanno lavorando per cavalcare la tigre, multinazionali del farmaco che stanno lavorando per nuovi profitti, in questi casi si fanno sempre ottimi affari, la pelle e la paura della gente rende bene. C’è questo e molto di più, geopolitica, lotta mondiale per la supremazia eco-nomica, nuove armi, riduzione drastica della popolazione, scenari insospettabili e di fondo su tutto la paura della morte. Siamo solo all’inizio? Stiamo andando verso una psicosi? Di cosa però? Del pericolo di morire? Dal contagio ci sono 10 giorni di incubazione forse di più, di non consapevolezza e poi si manifesta il dramma dove possiamo morire. Esistono da sempre molte situazioni che danno molto meno di 10 giorni di tempo. Vedo tutto questo come un’opportunità per capire che non sono affatto eterno come penso, perché in fondo in fondo io penso che la morte non mi riguarda che è estranea alla vita in particolare alla mia, unico destinato alla salvezza, che se capita è solo una sfortuna, un malaugurato incidente, il misfatto di un untore e non invece un aspetto non solo inevitabile ma addirittura sostanziale del senso profondo della vita. I greci chiamavano mortali gli umani, loro come filosofi si facevano meno illusioni, erano più pragmatici. Adesso per fortuna qui in Italia non siamo in pandemia da Coronavirus. Bene, allora sono salvo! Non morirò. Ma quanti morti ci sono al giorno nel mondo? Oggi voglio dire, in questo tempo in cui leggete queste righe? E per cause che potrebbero essere facilmente evitate, per le quali c’è un rimedio che non sarà applicato… Ma che importa… io sono vivo!! E adesso che mi sento salvo cosa ne faccio della mia vita? Me la posso prendere comoda… tanto non morirò… E quindi ho tutto il tempo che voglio, quanto ne voglio… Quindi posso prendermela con calma, no? Ho tutto il tempo… domani. Per chiedere scusa di un dolore che posso avere generato, per abbracciare una persona che ne ha bisogno, per dare a me stesso un abbraccio per perdonarmi di un errore e cercare di capire chi sono, per vedere un albero crescere, per bere un sorso di acqua fresca e sentirla che scende dentro di me, per ringraziare il mio pancreas di tutto ciò che ha fatto e sta facendo per me da quando esisto, per ascoltare le mie unghie crescere, lentamente. Domani, perché affrettarsi quando si è eterni? Lo so che sono un po’ matto… ma temo di arrivare a quel “malaugurato inci-dente” di cui sopra e scoprire che in fondo non ho vissuto, che non ho amato, che non ho rischiato abbastanza, che non… che non… e adesso si è fatto tardi purtroppo e non c’è più tempo, il sipario si sta chiudendo e io non sono stato protagonista di me stesso. E se così sarà, che la morte abbia pietà di me e non mi dia il tempo di sentire il rimpianto per le opportunità sprecate. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

siamo in mezzo ad un altro problema, un dramma forse o forse no, e di dimensioni al momento non ben identificabili. Una annunciata pandemia di virus pericoloso e di paura, questa non annunciata ma indotta e vera, ancor più contagiosa, di rabbia verso il diverso, lo straniero, l’untore, il colpevole. Politici che stanno lavorando per cavalcare la tigre, multinazionali del farmaco che stanno lavorando per nuovi profitti, in questi casi si fanno sempre ottimi affari, la pelle e la paura della gente rende bene.

C’è questo e molto di più, geopolitica, lotta mondiale per la supremazia eco-nomica, nuove armi, riduzione drastica della popolazione, scenari insospettabili e di fondo su tutto la paura della morte.

Siamo solo all’inizio? Stiamo andando verso una psicosi? Di cosa però? Del pericolo di morire? Dal contagio ci sono 10 giorni di incubazione forse di più, di non consapevolezza e poi si manifesta il dramma dove possiamo morire. Esistono da sempre molte situazioni che danno molto meno di 10 giorni di tempo. Vedo tutto questo come un’opportunità per capire che non sono affatto eterno come penso, perché in fondo in fondo io penso che la morte non mi riguarda che è estranea alla vita in particolare alla mia, unico destinato alla salvezza, che se capita è solo una sfortuna, un malaugurato incidente, il misfatto di un untore e non invece un aspetto non solo inevitabile ma addirittura sostanziale del senso profondo della vita. I greci chiamavano mortali gli umani, loro come filosofi si facevano meno illusioni, erano più pragmatici. Adesso per fortuna qui in Italia non siamo in pandemia da Coronavirus. Bene, allora sono salvo! Non morirò. Ma quanti morti ci sono al giorno nel mondo? Oggi voglio dire, in questo tempo in cui leggete queste righe? E per cause che potrebbero essere facilmente evitate, per le quali c’è un rimedio che non sarà applicato… Ma che importa… io sono vivo!! E adesso che mi sento salvo cosa ne faccio della mia vita? Me la posso prendere comoda… tanto non morirò… E quindi ho tutto il tempo che voglio, quanto ne voglio… Quindi posso prendermela con calma, no? Ho tutto il tempo… domani. Per chiedere scusa di un dolore che posso avere generato, per abbracciare una persona che ne ha bisogno, per dare a me stesso un abbraccio per perdonarmi di un errore e cercare di capire chi sono, per vedere un albero crescere, per bere un sorso di acqua fresca e sentirla che scende dentro di me, per ringraziare il mio pancreas di tutto ciò che ha fatto e sta facendo per me da quando esisto, per ascoltare le mie unghie crescere, lentamente. Domani, perché affrettarsi quando si è eterni?

Lo so che sono un po’ matto… ma temo di arrivare a quel “malaugurato inci-dente” di cui sopra e scoprire che in fondo non ho vissuto, che non ho amato, che non ho rischiato abbastanza, che non… che non… e adesso si è fatto tardi purtroppo e non c’è più tempo, il sipario si sta chiudendo e io non sono stato protagonista di me stesso. E se così sarà, che la morte abbia pietà di me e non mi dia il tempo di sentire il rimpianto per le opportunità sprecate.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Coronavirus.
"Dammi il supremo coraggio dell’amore, questa è la mia preghiera, coraggio di parlare, di agire, di soffrire se è Tuo volere, di abbandonare ogni cosa, o di essere lasciato solo." (Rabindranath Tagore)
Allegati Allegati: Zefiro.2020.04
01/02/2020: Anno 2020 - Numero 02  File Pdf
Pubblicato il 31/01/2020
Donne.
Donne.
Care amiche e cari amici, propongo una riflessione sull’universo femminile e del suo doversi rapportare con quello maschile. Quello che segue è un brano edito su una pagina FaceBook nel giorno contro la violenza sulle donne, scritto da un’amica che racconta un momento di vita in famiglia. A proposito di violenza sulle donne... ripenso a mia madre, a me e alle mie sorelle, umiliate, prevaricate, oppresse da un padre/marito padrone. Un giorno mi portò nella scuola in cui insegnava musica, ad una quarantina di km di distanza dal nostro paese, e scoprii una cosa che mi lasciò di stucco: i suoi allievi, ragazzini di scuola media, lo guardavano con adorazione, gli correvano incontro nei corridoi, lo salutavano festosi e stringevano la mano a me, che avevo la stessa loro età... lui sorrideva, dava carezze, mi presentava, scambiava battute scherzose con tutti. A lezione lo vidi maestro amabile e dolcissimo, attento, paziente e premuroso come non avrei mai immaginato potesse essere... All’uscita, nel salutarci una ragazzina mi si avvicinò e mi disse: “come sei fortunata ad avere un padre così... chissà com’è bello essere sua figlia!” Io non riuscii a risponderle nulla, guardai lui che era un altro a me sconosciuto, capii allora che aveva una doppia vita: poteva essere malvagio o meraviglioso, dipendeva dal contesto in cui si trovava e dai punti di vista di chi gli stava intorno, o forse solo dalla parte che in quel momento recitava, non so. Ecco, guardando i post di oggi su FaceBook mi torna quella sensazione... Anche con mio padre non mi è stata estranea questa sensazione di doppiezza nel vissuto in famiglia e all’esterno. Una dualità dove il maschio nella cornice familiare non riesce a trovare la tenerezza, l’affetto e la gioia del vivere insieme, ma è più attratto da un atteggiamento serioso, scomodo, irraggiungibile, che lo mette forse al sicuro, al riparo da scomode condivisioni con gli altri membri della famiglia, da un confronto aperto e un ascolto attento, dove con il dialogo e la dolcezza ci si può trovare non difesi da armature impenetrabili che mettono allo scoperto fragilità e bisogni che non ci si possono concedere, obbligati in una competizione di ricerca di potere. L’essere maschio in questa prospettiva arcaica e spero superata, anche se la trovo spesso presente, è un vissuto davvero pesante. Vorrei parlare adesso con mio padre di questo e del suo non detto, ma ormai è morto da trent’anni e posso solo dialogare in solitudine cercando di vedere in lui i traumi che abitano anche me. Questo lavorio interiore prevede un cammino personale, certamente nel mio caso assistito dalla meditazione e dal silenzio che facilita un accesso alle memorie profonde e al recupero di quella sovranità emozionale che è sempre presente ma sepolta da detriti e macerie di dolori di mie parti che non hanno avuto voce per esprimersi e sono solo potute star male. Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

propongo una riflessione sull’universo femminile e del suo doversi rapportare con quello maschile. Quello che segue è un brano edito su una pagina FaceBook nel giorno contro la violenza sulle donne, scritto da un’amica che racconta un momento di vita in famiglia.

A proposito di violenza sulle donne... ripenso a mia madre, a me e alle mie sorelle, umiliate, prevaricate, oppresse da un padre/marito padrone.

Un giorno mi portò nella scuola in cui insegnava musica, ad una quarantina di km di distanza dal nostro paese, e scoprii una cosa che mi lasciò di stucco: i suoi allievi, ragazzini di scuola media, lo guardavano con adorazione, gli correvano incontro nei corridoi, lo salutavano festosi e stringevano la mano a me, che avevo la stessa loro età... lui sorrideva, dava carezze, mi presentava, scambiava battute scherzose con tutti.

A lezione lo vidi maestro amabile e dolcissimo, attento, paziente e premuroso come non avrei mai immaginato potesse essere...

All’uscita, nel salutarci una ragazzina mi si avvicinò e mi disse: “come sei fortunata ad avere un padre così... chissà com’è bello essere sua figlia!” Io non riuscii a risponderle nulla, guardai lui che era un altro a me sconosciuto, capii allora che aveva una doppia vita: poteva essere malvagio o meraviglioso, dipendeva dal contesto in cui si trovava e dai punti di vista di chi gli stava intorno, o forse solo dalla parte che in quel momento recitava, non so.

Ecco, guardando i post di oggi su FaceBook mi torna quella sensazione...

Anche con mio padre non mi è stata estranea questa sensazione di doppiezza nel vissuto in famiglia e all’esterno. Una dualità dove il maschio nella cornice familiare non riesce a trovare la tenerezza, l’affetto e la gioia del vivere insieme, ma è più attratto da un atteggiamento serioso, scomodo, irraggiungibile, che lo mette forse al sicuro, al riparo da scomode condivisioni con gli altri membri della famiglia, da un confronto aperto e un ascolto attento, dove con il dialogo e la dolcezza ci si può trovare non difesi da armature impenetrabili che mettono allo scoperto fragilità e bisogni che non ci si possono concedere, obbligati in una competizione di ricerca di potere. L’essere maschio in questa prospettiva arcaica e spero superata, anche se la trovo spesso presente, è un vissuto davvero pesante. Vorrei parlare adesso con mio padre di questo e del suo non detto, ma ormai è morto da trent’anni e posso solo dialogare in solitudine cercando di vedere in lui i traumi che abitano anche me.

Questo lavorio interiore prevede un cammino personale, certamente nel mio caso assistito dalla meditazione e dal silenzio che facilita un accesso alle memorie profonde e al recupero di quella sovranità emozionale che è sempre presente ma sepolta da detriti e macerie di dolori di mie parti che non hanno avuto voce per esprimersi e sono solo potute star male.

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Donne.
"Quando l’anima ha la fortuna di incontrare il Bene - ma non è Lui stesso a venire a lei, è piuttosto la sua presenza a farsi manifesta – [...] allora all’improvviso vede comparire il Bene in sé stessa. Fra loro due non c’è più ostacolo di sorta e insieme fanno una sola cosa." (Plotino)
Allegati Allegati: Zefiro.2020.02
18/01/2020: Anno 2020 - Numero 01  File Pdf
Pubblicato il 18/01/2020
Una donna, l’Umanità.
Una donna, l’Umanità.
Care amiche e cari amici, quando l’ho vista ho dovuto guardala per del tempo, non riuscivo ad abbracciarla tutta, a contestualizzare. Un senso di smarrimento. Ho sentito questa immagine grande come una promessa mantenuta, come un destino percorso con coraggio e dolore, come la battaglia di una amazzone che non può essere sconfitta perché non chiede che di amare, fino all’ultimo battito, con la serenità e la quiete della vita nello sguardo di lei, con l’innocenza negli occhi del piccolo. Mi sembra che ci sia proprio tanto e mi sforzo di leggere di più, di entrare nel momento. Nel dramma del tumore che morde e sbrana il corpo, il quale si deve lasciare sbranare per poter sopravvivere ancora un po’ e un seno si perde ma con l‘altro si può ancora nutrire la vita che si affaccia, ce la posso ancora fare, senza far mancare calore e amore, dando tutto ciò che si può e che serve, nel qui adesso con tutto quello che ancora ho, che nonostante tutto ancora mi resta. Sono una madre. Fintanto che lo si potrà fare. Fino a quando? Non si sa, ma intanto lo faccio. Nessuno lo sa per sé stesso, non sono diverso da lei, chi è certo sul futuro vive in una illusione totale, maligna perché non gli permette di avere il senso profondo della finitudine, del limite. Non permette di dare il valore immenso che ha l’attimo dell’adesso, che si vive e che fugge e che è annegato in un oceano di incertezza e precarietà, in un galleggiare in un tempo che non controllo e che non posso afferrare. La madre malata e il piccolo appena nato. Un affresco. Entrambi in una relazione, entrambi in una realtà di cui non possono immaginare l’evoluzione. Il coraggio del piccolo che dovrà affrontare un abbandono forse prematuro di cui non conosce il dolore e la mancanza che ne accompagnerà l’esistenza e la madre che guarda il piccolo chiedendosi per quanto ancora sarò con te… e non potrà che accettare ciò che accadrà ma che non ostante questo partecipa al tripudio del grande banchetto della vita che si rinnova e che vede presente anche lei in prima persona, forse ancora più consapevole di me e di tanti, in un dolore e in una felicità che fanno piangere lacrime differenti ma dello stesso colore. Donne che hanno in sé la forza immensa che la vita racchiude nell’esplosione del Cosmo, guerriere che combattono, racchiuse in un cuore, battaglie grandiose non solo per loro ma anche per l’altro, in un plasmare di cammini, destini e possibilità, per poter lanciare la vita nel mondo e nel suo mistero rivestito di amore e di sofferenza insieme. Frecce scagliate nel cielo che diventano rondini guizzanti o che si dissolvono in meravigliose scie di luce che presto scompaiono agli occhi, ma non al cuore che niente dimentica e tutto è nascosto a “mille baci di profondità” (L. Cohen). Grazie a tutti Marco [Leggi]
Care amiche e cari amici,

quando l’ho vista ho dovuto guardala per del tempo, non riuscivo ad abbracciarla tutta, a contestualizzare. Un senso di smarrimento. Ho sentito questa immagine grande come una promessa mantenuta, come un destino percorso con coraggio e dolore, come la battaglia di una amazzone che non può essere sconfitta perché non chiede che di amare, fino all’ultimo battito, con la serenità e la quiete della vita nello sguardo di lei, con l’innocenza negli occhi del piccolo.

Mi sembra che ci sia proprio tanto e mi sforzo di leggere di più, di entrare nel momento. Nel dramma del tumore che morde e sbrana il corpo, il quale si deve lasciare sbranare per poter sopravvivere ancora un po’ e un seno si perde ma con l‘altro si può ancora nutrire la vita che si affaccia, ce la posso ancora fare, senza far mancare calore e amore, dando tutto ciò che si può e che serve, nel qui adesso con tutto quello che ancora ho, che nonostante tutto ancora mi resta. Sono una madre. Fintanto che lo si potrà fare. Fino a quando? Non si sa, ma intanto lo faccio. Nessuno lo sa per sé stesso, non sono diverso da lei, chi è certo sul futuro vive in una illusione totale, maligna perché non gli permette di avere il senso profondo della finitudine, del limite. Non permette di dare il valore immenso che ha l’attimo dell’adesso, che si vive e che fugge e che è annegato in un oceano di incertezza e precarietà, in un galleggiare in un tempo che non controllo e che non posso afferrare.

La madre malata e il piccolo appena nato. Un affresco. Entrambi in una relazione, entrambi in una realtà di cui non possono immaginare l’evoluzione. Il coraggio del piccolo che dovrà affrontare un abbandono forse prematuro di cui non conosce il dolore e la mancanza che ne accompagnerà l’esistenza e la madre che guarda il piccolo chiedendosi per quanto ancora sarò con te… e non potrà che accettare ciò che accadrà ma che non ostante questo partecipa al tripudio del grande banchetto della vita che si rinnova e che vede presente anche lei in prima persona, forse ancora più consapevole di me e di tanti, in un dolore e in una felicità che fanno piangere lacrime differenti ma dello stesso colore.

Donne che hanno in sé la forza immensa che la vita racchiude nell’esplosione del Cosmo, guerriere che combattono, racchiuse in un cuore, battaglie grandiose non solo per loro ma anche per l’altro, in un plasmare di cammini, destini e possibilità, per poter lanciare la vita nel mondo e nel suo mistero rivestito di amore e di sofferenza insieme. Frecce scagliate nel cielo che diventano rondini guizzanti o che si dissolvono in meravigliose scie di luce che presto scompaiono agli occhi, ma non al cuore che niente dimentica e tutto è nascosto a “mille baci di profondità” (L. Cohen).

Grazie a tutti

Marco [Chiudi]
Una donna, l’Umanità.
"Non chiederti: chi sono gli altri per essere aiutati? Chiediti: chi sono io per non aiutarli?." 
Allegati Allegati: Zefiro.2020.01
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Versione: 1.5
Rilasciata il: 06/02/2014
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